Trenino Rosso del Bernina: la mia esperienza
Il Trenino Rosso del Bernina non è un semplice mezzo di trasporto per collegare la Valtellina all’Engadina. E’ il trenino svizzero per eccellenza, quello che su un binario a scartamento ridotto e vagoni in miniatura in stile plastico ferroviario attraversa paesaggi mozzafiato di boschi verdeggianti, pascoli popolati da mucche pezzate, paesini con campanili slanciatissimi, laghi scintillanti, montagne e cascate servendosi di un percorso ardito costellato di curve, viadotti e gallerie. Nei 61 kilometri da Tirano a Saint Moritz c’è tutto questo, in una romantica successione che lascia il passeggero con il naso incollato al finestrino per tutta la durata (2 ore circa) del viaggio. Non importa se sia estate o inverno: ogni stagione ha le sue tinte, le sue tecniche per colorare il paesaggio, i suoi contrasti tra le cime delle Alpi perennemente innevate e la vegetazione cangiante delle quote più basse. Il percorso, grossomodo, è noto a tutti: dalle vigne di Tirano si sale fino ai 2.253 metri del passo del Bernina, superando l’ardito viadotto elicoidale di Brusio, bordeggiando il lago di Poschiavo e scalando la montagna con tornanti e gallerie attraverso un fitto bosco di abeti. Giunti alla stazione di valico, adagiato sulle bucoliche rive del Lago Bianco, si scende, con pendenze più dolci, verso la sobria mondanità di Saint Moritz. Non starò a dilungarmi sui particolari storici ed ingegneristici della linea, ma vi racconterò la mia esperienza in prima persona, vissuta il giorno di Ferragosto di qualche anno fa.
Mezzanotte: la pioggia continua a battere contro gli infissi dell’Hotel Corona di Tirano. Smetterà, prima o poi. Dovrà smettere. Le previsioni controllate prima di spegnere il cellulare erano confortanti…Il letto a piazza singola è più stretto di una brandina da caserma, tuttavia riesco immediatamente a prendere sonno. Quando mi risveglio, le prime luci del giorno già filtrano attraverso le imposte. Manca ancora un’ora abbondante alla sveglia, ma il pensiero di verificare le condizioni meteo è urgentissimo. Piove fottutamente ancora, e le pendici delle Alpi sono avvolte da fitte nuvole basse già a mezza costa. Nessun indizio di schiarita all’orizzonte, almeno dal lato italiano visibile dalla mia camera. Forse verso la Svizzera le cose andranno meglio. Quasi a fregarmene (mentre in realtà dentro di me c’è un incontrollabile processo di erosione epatica) preparo lo zaino mettendo in prima linea l’attrezzatura da montagna: pile, giacca rain-cutter e k-way. Mi serviranno, eccome se mi serviranno…Rilascio la camera e l’hotel con abbondante anticipo rispetto all’orario di partenza del trenino per Saint Moritz: è Ferragosto, e quelle carrozze saranno più affollate della Circumvesuviana per Sorrento il giorno di Pasquetta; bisogna anticiparsi per prendere i posti migliori. Quando esco all’aperto sul Viale Italia, quasi non piove più: un piccolo barlume di speranza. Prima di prendere posto, provo a far colazione al bar della stazione Trenitalia. Provo, appunto: resto per 5 minuti davanti alla cassa sperando che la carina inserviente mi noti. Ma sia lei, sia il suo collega, sono troppo indaffarati nel chiacchiericcio per accorgersi di me. Stizzito (e da sempre intollerante all’attesa) ripiego su un bar vicino, che per fortuna non mi fa mutare il positivo giudizio sulla gente di Valtellina.
Alla stazione della Ferrovia Retica non c’è più controllo dei documenti: pur mantenendo la sua proverbiale neutralità, la Svizzera è entrata nello spazio Schengen, anche se permangono controlli doganali a campione sulle merci in ingresso e in uscita. Inutile dichiarare la mia reflex piena di ammaccature, molto più utile rifornirsi di pregiata valuta locale senza commissioni aguzzine direttamente in biglietteria. Il trenino regionale delle 8.50 per Saint Moritz ha carrozze di gusto retrò: portiere a maniglia, finestrini apribili a morsetto, tappezzeria lignea e sedili in stile alpino. Le prime 2 carrozze sono prenotate da un Cral di Bari, che ha organizzato su queste rotaie il suo ennesimo viaggio di gruppo abusivo. Riesco a trovare posto vicino al finestrino, ma il treno si riempie rapidamente, soprattutto di famiglie con bambini ed immancabili fotoamatori nipponici. Alle 8.57, il macchinista rilascia i freni. La visione del meraviglioso paesaggio alpino subito bilancia i contrattempi del mattino. Dopo aver attraversato la piazza del Santuario della Madonna di Tirano, si comincia a salire correndo paralleli alla trafficata statale del Bernina. A Campocologno si valica la frontiera, annunciata dal primo ponte sul ruscello Poschiavino. Qualche kilometro più avanti, lo spettacolare viadotto elicoidale di Brusio (pittoresca la vista dell’intero convoglio dal finestrino durante la percorrenza del curvone a spirale) ci consente di superare un forte dislivello ed immetterci nella Val Poschiavo, dove, a Miralago, ci fermiamo per la prima sosta. Il lago artificiale di Poschiavo, creato attraverso lo sbarramento del Poschiavino, è una delizia per gli occhi: nelle sue acque cristalline si specchiano le montagne del gruppo del Bernina, molte delle quali con le cime ancora innevate. Un comodo sentiero lo circumnaviga per intero, collegando, nel tratto che corre parallelo alla ferrovia, le stazioncine di Miralago e La Prese. Le nuvole si sono in parte diradate, e quelle residue creano con l’acqua e il verde delle pendici boscose giochi di colore degni di un quadro impressionista. L’aria è umida e frizzantina, la terra bagnata per la pioggia appena cessata. Percorro una parte del sentiero, quella con la luce migliore, prima di riprendere il trenino (dopo un’ora esatta) e dirigermi verso la tappa successiva.
Questa volta le carrozze hanno un taglio molto più moderno: aria condizionata e monitor con la traccia oraria ed il percorso. Superata la stazione di Poschiavo Centro, dove inforniamo anziani turisti mitteleuropei con ridicoli cappelli di paglia, si comincia a salire sul serio: la ferrovia abbandona la statale e si inerpica verso il passo con una ripida sequenza di tornanti attraverso un rigoglioso bosco di conifere. L’intera Val Poschiavo è visibile ora sulla destra, ora sulla sinistra, allontanandosi sempre più dalla vista man mano che si sale verso il cielo. Alla stazione di Cavaglia, disposta in un verdeggiante pianoro attrezzatissimo per i pic-nic a 1.700 metri circa d’altitudine, conosco la lingua romancia. Simpatica, la lingua romancia: una dizione incomprensibile alternata a parole italiane d’uso comune. Ad istruirmi, una famiglia locale con mamma, nonna, due bambine ed un border collie con un occhio di vetro. Gli ultimi kilometri di salita immergono in un’atmosfera tipicamente alpina, tra tunnel in pietra scavati nella roccia, laghetti azzurrissimi e cascate che sgorgano da nevai perenni. La vegetazione si dirada mentre raggiungiamo la stazione di Alp Grum, situata a poco più di 2.000 metri: da qui si può godere di un’impareggiabile vista panoramica su tutta la Val Poschiavo ed i ghiacciai circostanti. Il treno si ferma per 10 minuti, e quasi rimpiango di non esser sceso per scattare una fotografia. A preoccuparmi è la respirazione in una quota per me inedita. Si avvertirà l’aria rarefatta? Oppure sarà come trovarsi in un aereo, pressurizzato ad una quota artificiale similare? Mentre il treno riparte, avverto un leggero mancamento, ma forse è solo suggestione. Una coppia di viaggiatori beneventani mi rassicura: l’aria di questi monti è tutta salute! Pochi minuti dopo, la diga del Lago Bianco ci dà il benvenuto al Passo del Bernina.
E qui, a l’alta fantasia mancò possa. Un lago azzurrissimo circondato da montagne alte 4.000 metri ed oltre, dalle cui cime aguzze scendono lingue di ghiaccio perenne. Il Piz Bernina, il Piz Palù ed il Piz Cambrena sono silenti spettatori di una scena incantata. Siamo a poco meno di 2.300 metri di altitudine: fa freddo, e a malapena il pile riesce a darmi calore. Ma é un freddo pulito, balsamico: quello che ci voleva dopo un mese e più a lavorare nell’afa soffocante di Napoli. Si può respirare a pieni polmoni, ma le gambe sono più molli e pesanti del solito; bisogna muoversi lentamente per non farsi venire subito l’affanno. Percorro la breve stradina sterrata d’accesso al passo, con il vento che sibila nelle orecchie congelandone i lobi. Dalla vetta, lo sguardo spazia fino al Lago Nero, fratello minore del lago di opposto colore, ma non più umile: le sue acque convogliano nel Danubio e di lì scorrono verso l’Europa Orientale ed il Mar (non a caso) Nero. Quelle del Lago Bianco invece alimentano il Poschiavino, che a valle si getta nell’Adda che a sua volta affluisce nel Po. Poche centinaia di metri di distanza, due bacini idrografici assolutamente diversi. Sporadiche vacche pezzate pascolano nei prati facendo risuonare i campanacci, unico rumore artificiale udibile nella quiete d’alta montagna. La stazioncina di valico possiede un piccolo bistrot dove ristorarsi in attesa della tappa successiva. I prezzi sono abbastanza contenuti per essere in Svizzera, e quella bistecca di maiale con contorno di patatine mi tenta. Peccato che si rivelerà identica, per forma e consistenza, alla suoletta antipuzza inserita nelle mie scarpe da trekking. Ho ancora parecchia strada da percorrere per concedermi già una birra, così opto per la Rivella, la bevanda gassata nazionale: un sapore indecifrabile, a metà tra il dolce di una cedrata Tassoni e l’amaraccio di una Schweppes. La boccio disgustato al primo sorso, ma per tutto il viaggio non ne potrò fare più a meno. Strano, no?
Un nuovo trenino, e siamo pronti a scendere verso Saint Moritz e la vallata dell’Engadina. Il cielo è ormai quasi sgombro di nubi mentre la vegetazione ritorna rigogliosa in corrispondenza della fermata del Morteratsch, da dove è possibile raggiungere a piedi l’omonimo ghiacciaio in un paio d’ore di sentiero adatto anche ad escursionisti principianti. Pontresina, Celerina (da notare i toponimi ancora italofoni), e si giunge al capolinea di Saint Moritz. Se avessi saputo prima della scala mobile che congiunge la stazione con la piazzetta centrale, anzichè scoprirla a fatto compiuto, avrei evitato una ripida scarpinata di quasi un kilometro per la strada carrabile. Il tutto poi per ritrovarmi in un disgustoso sfoggio di mondanità, tra ridicoli portieri d’albergo exralusso in livrea, tronfi autisti di Mercedes dai finestrini oscurati e negozi di alta moda sulla Via Maestra. No, decisamente non è il mio mondo: molto, ma molto più interessanti una panchina dove scroccare il wi-fi, una fontana di acqua gelida dove fare benzina (e verificare la tenuta stagna della borraccia dopo la perdita del mattino) e soprattutto il lago, scenario ideale dove scattare qualche foto e attendere il treno per Chur, pur non possedendo la magnificenza naturalistica di Poschiavo o del Passo Bernina.
Già, il treno per Chur: da Saint Moritz, anzichè tornare indietro a Tirano, è possibile prendere un altro trenino delle Ferrovie Retiche, che attraverso la Valle dell’Albula e un paesaggio incontaminato non meno interessante di quello della linea del Bernina, scende fino a Coira, capitale del cantone dei Grigioni. Da lì, in poco più di un’ora, si può raggiungere Zurigo con un treno delle ferrovie nazionali svizzere. Un itinerario perfetto per chi non ha fretta e desidera ricevere una prima full immersion nel mondo elvetico, evitando il traffico del San Gottardo o la noia della nuova, rapida e lunghissima galleria di base che negli ultimi anni ha notevolmente ridotto i tempi di percorrenza tra Milano e la città d’affari per antonomasia. In ogni caso, da qualunque lato si osservi il paesaggio, in Svizzera è sempre la natura ad essere protagonista. Ed il trenino rosso del Bernina è un’esperienza imperdibile non solo per gli amanti del verde e della montagna, ma anche per chi, sin da piccolo, è sempre stato appassionato di trenini elettrici e vuole immergersi in un autentico plastico vivente.
2 responses to “Trenino Rosso del Bernina: la mia esperienza”
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Egregio Carmine
La tua descrizione della tua esperienza fatta sul trenino rosso del Bernina e’ molto esaustiva, mi complimento di tutto.
Carmine Greco
Grazie mille!