Perché nei viaggi organizzati si mangia così male?
Il viaggio organizzato, soprattutto quello classico in pullman gran turismo, è la soluzione perfetta per chi desidera visitare più luoghi di una stessa nazione, senza lo stress di dover programmare le visite e le tabelle di marcia, di guidare la propria auto o spostarsi con i mezzi pubblici, di decidere dove andare a mangiare la sera. Nell’immaginario collettivo è associato a viaggiatori di età avanzata, magari in pellegrinaggio con la comunità parrocchiale, ma sono sempre più le giovani coppie ed i single con voglia di socializzare che lo scelgono per le loro vacanze. La comodità non conosce età: ti siedi nel bus, un accompagnatore ti aiuta a conoscere nuove persone, le guide locali ti illustrano monumenti e musei dove non fai la fila per entrare perché l’ingresso è già stato prenotato e pagato, al termine della giornata ci si sistema in hotel nelle camere preriservate e ti danno da mangiare. Già, ma cosa e come ti danno da mangiare? Per i viaggiatori organizzati, soprattutto quelli italiani, è l’aspetto più importante. Puoi organizzare il tour più bello e figo del mondo, ma se farai mangiare male i passeggeri, non conserveranno un bel ricordo del viaggio. Basti guardare a cosa accade quando il pullman li rilascia al termine del viaggio: la prima cosa che chiedono i parenti che li vengono a prendere non è: “cosa hai visitato?”, ma “come hai mangiato?”. E la risposta, spesso, non è positiva. Vediamo perché nei viaggi organizzati si mangia così male:
Partiamo da un presupposto: organizzatore e ristorante/hotel devono entrambi contenere i costi: il primo per non offrire un prodotto troppo costoso al mercato dei fruitori e contemporaneamente garantirsi utili succosi, che si innalzano in modo esponenziale se il bus (che, come le guide, è un costo fisso) si riempie a tappo. Il piccolo operatore come l’agenzia di quartiere, il presidente dell’associazione o il parroco hanno di solito un rapporto diretto con ristoranti conosciuti che propongono menù collaudati; in questo caso la qualità è solitamente discreta. Ma l’agenzia pigra o il grande tour operator si rivolgono a un fornitore o a un altro tour operator, specializzato in servizi per viaggi di gruppo, che fa tutto per lui (i più conosciuti sono Itermar, San Marino Viaggi e Vacanze, The One): l’organizzatore ha a disposizione una tabella dove sono indicate le località e tre fasce di menù: uno basilare, dal costo intorno ai 15 euro (contenente primo, secondo con contorno e frutta), destinato solitamente alle scolaresche; uno intermedio, dal costo intorno ai 20 euro, che aggiunge un bis di primi ed il dolce; infine, il menù completo comprensivo anche di antipasto e caffè, dal costo intorno ai 25 euro. Inoltre si può decidere se aggiungere o meno le bevande (acqua e vino, in media 3 euro a persona). Nome del ristorante e specifiche del menù le si conoscono solo a conferma servizio, come la sorpresa di un uovo di Pasqua. La scelta della fascia di menù dipende dal budget a disposizione dell’operatore, dal numero di passeggeri prenotati, dalla qualità dei servizi che si intende offrire e dal margine di guadagno desiderato. Ma soprattutto, dall’etica con cui l’organizzatore esegue il suo lavoro. La scelta tra più alternative, salvo rarissimi casi previsti dai tour operator più prestigiosi, non c’è. Si mangia alla table d’hôte, ossia menù uguale per tutti, in sfregio al libero arbitrio. Uniche eccezioni consentite: allergici (e non avete idea di cosa si inventano i passeggeri per non incorrere negli alimenti a loro più molesti) e seguaci di religioni che non prevedono particolari pietanze nella dieta.
Il ristorante invece deve risparmiare perché, a causa della concorrenza, non può permettersi di richiedere troppo per un menù turistico. Inoltre un gruppo numeroso prevede l’impiego di più risorse umane di sala e cucina, che di domenica e durante le festività richiedono naturalmente una paga extra. Non potendo tagliare questi costi obbligati, risparmiano sulla materia prima, utilizzando quelle più povere o scadenti. Ed i menù seguono tutti più o meno la stessa falsariga. Nessuno si aspetterebbe di trovare ostriche e caviale, ma un occhio alla territorialità su quanto proposto sarebbe cosa gradita. E invece, raramente lo si incontra. Partiamo dall’antipasto: spesso si tratta di affettati, un po’di formaggio e qualche bruschetta. Piacciono a tutti, ma sono spesso assemblati con prosciutti e salami industriali comprati alla Metro. Passando alla portata successiva, le lasagne sono il primo più gettonato: puoi anche prepararle il giorno prima, poi riscaldarle e porzionarle al momento dell’uso. Niente di meno dispendioso. In alternativa, gnocchi dalla consistenza collosa, penne pomodoro e basilico o al ragù, amatriciana con pancetta a cubetti e varie combinazioni di panna, speck, prosciutto cotto, carne trita, funghi surgelati e verdure. All’estero il primo piatto a base di pasta viene solitamente sostituito da una zuppa senza parte solida a base di legumi o verdurame; se provano a cimentarsi con la pasta per accontentare la clientela italiana, ne vengono sovente fuori mappazzoni impilati di maccheroni scotti al surrogato di pomodoro conditi con formaggio grattugiato scadente. Meglio il passato di verdura, a quel punto.
Sul secondo, si potrebbe scrivere un trattato intero. Possono chiamarlo come vogliono, scegliere nomi ampollosi o simpatici, ma la solfa è sempre quella: arista di maiale cotta in forno per ore, affettata e servita con una salsina schifosa (di solito il fondo di cottura frullato) per mitigarne secchezza e durezza, contorno di patate. Facile, economico e senza spreco di tempo: sbatti la carne in forno e chi si è visto si è visto. In alternativa, coscetta di pollo. Difficile trovare altre carni, perché maiale e pollo sono quelle che costano di meno. Il manzo non è così raro, ma lo si propone sotto forma di brasati, stufati e dozzinali polpettoni, in quanto sono preparazioni che richiedono tagli del quarto anteriore, notoriamente meno costosi. E badate bene: l’arista di maiale al forno è una piaga che si può ritrovare anche nel menù di una festa comandata o di un matrimonio! Possono usare quanto vogliono le parole “maialino” o “suinetto da latte” per addolcire il boccone, ma sempre di economicissimo maiale pesante nazionale si tratta! Chiamatela come merita: carne turistica. Scordatevi, salvo rarissime eccezioni, bistecche o carne arrostita: le griglie non sono mai così grandi da poter ospitare le necessità di un gruppo e la cottura alla brace ha bisogno di sorveglianza continua. Poco spazio per il pesce, se non tonno in scatola e salmone affumicato per accompagnare rispettivamente fusilli e farfalle che affogano nella panna; oppure, volendo proporre un secondo diverso, pangasio, platessa spacciata per rombo o orata (altro classico dei matrimoni) e succedanei del merluzzo. Tutto rigorosamente decongelato. Sul dolce, le cadute di stile sono numerosissime: non so quante volte durante la mia carriera di accompagnatore turistico mi è capitato di andare in cucina e vedere crostate in busta che venivano divise e impiattate. Torta di mele, tiramisù o gelato (facile facile) con panna le alternative più gettonate. Difficile, a meno di non essere in un ristorante con chef-patissier, un dolce del territorio o una torta fatta in casa.
In albergo, le cose difficilmente vanno meglio. L’organizzatore concorda la mezza pensione o (come nel caso di mete di pellegrinaggio o soggiorni climatici) la pensione completa, ma il menù è a discrezione dell’hotel. Che spesso non sono attrezzati con una cucina completa, e si servono pertanto di catering esterni che gli forniscono precotti pronti all’uso da riscaldare nei forni che utilizzano per la prima colazione. Sembrerebbe un quadro piuttosto fosco, e a linee generali lo è. Ma non mancano piacevoli eccezioni, come alcuni ristoranti per stop-lunch nei dintorni di Firenze che riescono ad offrire menù con una piccola bistecca alla fiorentina. Oppure in Puglia, dove conoscono bene i tempi di cottura della pasta e la cucina locale fa uso di materie prime povere che vanno solo curate bene. Diversa la situazione all’estero dove, a meno di non riservare ristoranti gestiti da italiani emigrati, bisogna necessariamente fare di necessità virtù e prepararsi ad ingollare brodaglie e pasta scotta. Ecco spiegato perché nei viaggi organizzati si mangia così male, ma è un piccolo pegno da pagare ad una tipologia di viaggi che si prende cura del passeggero dalla partenza fino all’arrivo.
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