Italia che vai, salame che trovi. Geografia del salume nazionale
Se la secolare frammentazione della penisola in stati e staterelli fino all’Unità d’Italia del 1861 si è rivelata, da un lato, un freno per lo sviluppo di un’unità politica e una coscienza nazionale ben radicata, dall’altro ha contribuito ad alimentare un mosaico di culture che, combinatesi con la ricchissima biodiversità naturale del paese, hanno generato un patrimonio enogastronomico variegato ed ineguagliabile per quantità e qualità. La posizione dell’Italia al centro del Mediterraneo e ai piedi delle Alpi ha favorito un naturale processo di contaminazione culturale sia con il mondo mitteleuropeo che con quello nordafricano; senza dimenticare le matrici greche, francofone e ispaniche dei fondatori prima e dei conquistatori poi che si sono avvicendati nella nostra penisola. Pensiamo per esempio ai canederli altoatesini o al cous-cous magrebino che ormai fa parte a pieno titolo della tradizione gastronomica siciliana: due piatti agli antipodi per ingredienti e sapori, separati da più di dieci gradi di latitudine, ma che battono tutti e due la nostra bandiera.
Sembrerà un paradosso, ma a volte unità e suddivisione camminano a braccetto: l’esempio più fulgido di questa tesi è rappresentato da una tipicità del nostro patrimonio enogastronomico che viene prodotta dal Brennero a Capo Passero in un’innumerevole quantità di tipologie diverse, con ricette e tecniche produttive che risentono dell’identità culturale del territorio e delle tradizioni contadine dei suoi abitanti. Nato e noto sin dai tempi dell’impero romano per riciclare gli scarti della lavorazione del maiale ed ottenere, grazie all’aiuto del sale (da qui la parola “salumen“, salume, poi imbarbaritasi in “salamen” nel Medio Evo), un prodotto a lunga conservazione, oggi i salami italiani sono realizzati con i tagli più nobili non solo del suino, ma anche di bovino, equino, oca ed anche ingredienti non appartenenti al mondo animale. La concia delle spezie utilizzate per aromatizzare la carne prima della stagionatura o la grana della tritatura possono variare anche nel raggio di pochissimi chilometri, dando luogo ad un’infinità di produzioni differenti ed indipendenti, ma ci sono alcuni elementi di omogeneità che caratterizzano ed assimilano i salami di determinate regioni geografiche. Scartiamo naturalmente i prodotti industriali destinati alla grande distribuzione, e concentriamoci sulle produzioni più autentiche del territorio, figlie del durissimo lavoro di contadini e allevatori, che hanno unito la sapienza dei depositari di ricette ancestrali a tecniche di stagionatura modellate sulle particolari condizioni climatiche del territorio, per produrre salami rinomati e ricercati, molti dei quali sono stati preservati da consorzi di tutela ed hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti come l’IGP o la DOP.
I salami dell’Italia settentrionale sono solitamente caratterizzati da una grana fine e da un uso massivo dell’aglio in polvere per aromatizzare le carni. In alcune regioni possiamo trovare altre spezie come chiodi di garofano (Salsiccia di Bra piemontese), noce moscata (Salame Piacentino o il pregiato Salame di Varzi, innaffiato con abbondante vino rosso dell’Oltrepò Pavese) e cannella (Musetto friulano). Non mancano prodotti ottenuti da altre carni come il Salame d’Oca di Mortara, i salami bovini prodotti lungo l’arco alpino o il salame di patate tipico del Canavese. In Alto Adige le tecniche produttive risentono delle contaminazioni teutoniche, ed il Kaminwurz, stuzzicante salamino tipico della regione, matura tramite affumicatura anzichè stagionatura. Una menzione a parte merita il Salame di Monte Isola, prodotto in numero limitatissimo (e per questo imitato da numerosi salumifici nei dintorni) nell’omonimo comune insulare del Lago d’Iseo, contraddistinto da una grana più grossa e una miscela di spezie poco invasiva che fa risaltare il sapore della carne suina. Degno di nota anche lo Strolghino, un salamino magro e appetitoso realizzato con le stesse cosce suine utilizzate per produrre il re dei salumi italiani, il Culatello di Zibello. Ma non vanno dimenticati il Salame Felino, quello Mantovano (il prediletto dallo chef Carlo Cracco), la Zia Ferrarese, la Soppressa Veneta e tante piccole produzioni artigianali tutte da scoprire, ben più interessanti dal caro, vecchio (ma non tanto, visto che l’invenzione risale al 1870) salame milanese, ormai simbolo della produzione salumiera industriale.
Dici Italia Centrale ed immediatamente pensi alla Toscana ed alle sue “merende” tipiche, accompagnate da pane sciocco e fiumi di Chianti. A caratterizzare i prodotti della terra di Dante, primo sognatore di un’Italia unita, è una spiccata sapidità, insieme ad una percentuale di grasso forse maggiore rispetto ad altre regioni italiane. Il tipico Salame Toscano a grana grossa, in particolare quello di cinta senese, spicca per la predominanza di parti bianche rispetto a quelle rosse, ma profumo e sapore compensano una consistente untuosità. Con la Finocchiona, probabilmente il più conosciuto salame toscano al mondo, compaiono per la prima volta, viaggiando da nord verso sud, i semi di finocchio nell’impasto a bilanciare un uso forse eccessivo dell’aglio, tipico di tutto il Centro Italia. Nella vicina Umbria, dove Norcia, storicamente e nominalmente associata all’arte della norcineria, risente di un’eccessiva pressione turistica che ha sensibilmente abbassato il livello dei prodotti (“Coglioni del mulo” e “Palle del nonno” fanno solo scena folcloristica e sono spesso pieni di additivi destinati a coprire carni di qualità non proprio eccelsa), particolarmente interessanti sono le produzioni di cervo e cinghiale. Nelle Marche spiccano il Ciauscolo, un particolare salame morbido a grana finissima, e soprattutto il pregiato Salame di Fabriano, realizzato in quantità modestissime e particolarmente apprezzato da Garibaldi: carni nobili di razze autoctone, grana grossa e assenza assoluta di conservanti conferiscono a questo salame qualità e genuinità. Nel Lazio gli insaccati vivono un po’ all’ombra rispetto ad altri derivati di carne suina come il guanciale, la porchetta e le coppiette, ma i salamini dei Castelli Romani rappresentano un’eccellente alternativa alla Spianata Romana, un salume industriale simile a una mortadella cruda. Da segnalare la particolarissima salsiccia secca di Monte San Biagio, aromatizzata al coriandolo e dal sapore pungente e agrumato.
Abruzzo e Molise rappresentano regioni di transizione verso la cultura norcina del Mezzogiorno. Nella rinomata (e imitatissima) Ventricina abruzzese troviamo per la prima volta carni macinate al coltello ed il peperoncino nella concia. Da Roma in giù l’aglio progressivamente scompare in favore di speziature semplici a base di sale, pepe, vino bianco, finocchietto e solenacee tipiche del territorio. L’areale appenninico che comprende l’Abruzzo meridionale, il Molise, le zone interne della Campania (in particolare Sannio ed Irpinia) e tutta la Basilicata presenta un interessantissimo unicum: qui salami ed altri insaccati si producono senza conservanti. Nitrati e nitriti sono banditi, così come destrosio, saccarosio ed altre schifezze: le carni sono perlopiù di suini locali, le produzioni in piccola scala e, come per i grandi prosciutti crudi dop italiani, sono solo sale e clima a garantire stagionatura e conservazione. La Soppressata Irpina (realizzata con le parti più nobili del maiale e condita con solo sale e pepe nero in grani) e la salsiccia secca (con finocchietto e peperone dolce o piccante), in particolare quella lucana impreziosita con il locale peperone crusco, sono eccellenze norcine che possono essere mangiate in gran quantità senza correre il rischio di assumere troppe sostanze cancerogene. Sarà questo, insieme a un corposo vino rosso di uvaggio Aglianico, il segreto della longevità degli abitanti di queste terre? Il Salame di Mugnano del Cardinale e quello Napoletano sono ormai, come il fratello maggiore milanese, confinate a un’anonima produzione industriale. In Puglia l’interessante Salame di Martina Franca e la salsiccia a catena vivono un po’all’ombra del più famoso capocollo, mentre in Calabria, terra del peperoncino per eccellenza, a dominare la scena è sua maestà la Nduja, il salame spalmabile impastato con peperoni arrostiti e peperoncino. Per chi non ne ama la consistenza morbida, un’ottima alternativa è la soppressata piccante, dove può ricomparire l’aglio e c’è purtroppo poco spazio per chi non ama sapori spinti.
Per concludere il nostro goloso viaggio nell’Italia del salume più amato da grandi e piccini, non possiamo non fermarci in Sicilia per assaggiare il pregiato Salame di Sant’Angelo di Brolo, impastato con solo sale marino e pepe, la magrissima Busambrina (ottenuta da carne bovina) o specialità aromatizzate con cultivar tipiche dell’isola come pistacchio, mandorle o agrumi. Occhio comunque a non scegliere prodotti realizzati ad hoc per i turisti! In Sardegna, oltre a rinvenire salsicce secche dolci e piccanti a grana grossa, con o senza aglio (ottima quella Campidanese), particolarmente interessanti sono i salami al mirto e naturalmente quelli ottenuti da carne ovina, dal sapore deciso, ma magri e di facile digeribilità. Qualunque sia il salame che eleggerete come vostro prediletto, ricordate sempre di prediligere manufatti realizzati da piccoli produttori locali (meglio se protetti da un marchio Dop o Igp) e dimenticate di poter siglare affari convenienti badando al prezzo oppure acquistando al discount: ne beneficerà il vostro portafogli, ma sicuramente non le vostre papille gustative!
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