Dalla Val Venosta a Livigno attraverso Stelvio e Val Mustair
La chiamano Terra Retica. Un triangolo scaleno al centro delle Alpi, dove Italia, Svizzera ed Austria si abbracciano per generare un paesaggio montano variegato, che spazia dai meleti della Val Venosta ai ghiacciai dell’Ortles; costellato da laghi alpini scintillanti che in alcune valli laterali incontaminate ricordano da vicino scenari degni di una cartolina dal Canada. Merano ad est e Livigno ad ovest costituiscono i vertici italiani del triangolo; così vicine in linea d’aria, così differenti per lingua e tradizioni. Se la lombarda Valtellina, nonostante l’affinità con il cantone romancio dei Grigioni, resta un territorio di lingua e cultura italiana, l’altoatesina Val Venosta (e ancor di più la Val Martello, dove le percentuali sfiorano il 100%) registra la presenza più significativa di popolazione germanofona di tutto l’Alto Adige. Nonostante le divergenze linguistiche, la comune origine retica costituisce un robusto fattore identitario di questa sezione dell’arco alpino, che dispone di un consiglio interregionale per rinforzare la collaborazione transfrontaliera ed ordire progetti ambiziosi per favorire lo sviluppo sostenibile dell’area, con particolare attenzione alla mobilità ecologica.
Il nostro viaggio in Terra Retica comincia dalla periferia di Merano. La fabbrica della Birra Forst a Lagundo è de facto considerata la porta della Val Venosta: qui la strada si restringe e, dopo aver superato con un paio di trafficate gallerie un ardito dislivello, si immette in un’ampia conca quasi interamente coltivata a meleti e solcata dall’Adige che, prima di ricevere a Bolzano le acque dell’Isarco, è ancora un ruscello cristallino. E’ questa una delle zone più gettonate dai cicloturisti, per via dell’ampia disponibilità di piste ciclabili (sia asfalto che off road), dei dislivelli non impegnativi e dell’aria pulita. I paesini, tutti o quasi dominati dai tradizionali, slanciatissimi campanili tirolesi, incarnano la tipica architettura altoatesina, con stradine acciottolate, fontane adornate di fiori e casette in legno. Se Silandro e Laces sono i centri più popolati, Glorenza, nonostante sfiori a malapena i 1.000 abitanti, è il più piccolo comune dell’Alto Adige a fregiarsi dell’appellativo di città. Da non perdere la sua intatta cinta muraria ed i suoi portici, apprezzato set cinematografico. A Prato allo Stelvio, la strada si divide. Proseguendo verso nord si risale il Passo di Resia, fino ad arrivare, prima di sconfinare in Austria, allo smeraldino lago artificiale con il campanile semisommerso di Curon Venosta, uno degli scorci più fotografati della regione. Se invece si sceglie la strada di sud-ovest ci si ritrova ai piedi del valico stradale più alto d’Italia, più volte Cima Coppi del Giro: sua maestà, lo Stelvio. Altitudine: 2.758 metri sul livello del mare.
A Trafoi, prima di affrontare la parte più ripida della salita, obbligatoria è la sosta all’Hotel Bellavista, di proprietà di Gustav Thoeni. Qui il 4 volte vincitore della Coppa del Mondo di Sci Alpino, che non è raro incontrare dietro la macchina del caffè, ha allestito un piccolo museo con i suoi trofei, i suoi sci, foto ed articoli che lo ritraggono all’apogeo della sua carriera (anni ’70) e nelle vesti di allenatore di Alberto Tomba (anni ’90). Scattate le foto di rito, ci inerpichiamo per il valico attraverso i suoi mitici tornanti numerati, in progressione decrescente fino alla cima. Se siete in auto, aspettatevi di procedere a passo d’uomo, per via dei numerosi autocaravan e dei ciclisti che si cimentano nella scalata. Ma non c’è motivo per andare di fretta, con tutta la magnificenza dell’alta montagna che si mostra al viandante, dapprima con un profumato bosco di conifere e poi, una volta superata la canonica quota dei 2.000 metri, con una brulla prateria alpina punteggiata dalla roccia nuda. Non è raro, anche in piena estate, incontrare neve ai bordi della strada o in caduta libera dal cielo, per cui è buona regola consultare sempre i bollettini meteo prima di intraprendere l’ascesa. Una volta in cima è possibile salire sul ghiacciaio (purtroppo sempre più ridotto) con gli impianti di risalita per praticare sci estivo oppure fermarsi per scattare una foto ricordo accanto al cippo altimetrico, acquistare qualche pacchiano souvenir in una delle tante bancarelle che deturpano l’ambiente montano (non meno comunque dei gas di scarico e del rumore delle marmitte truccate dei motoveicoli di grossa cilindrata) o semplicemente, allontanandosi dal traffico della statale, respirare un po’di sana aria di montagna. Un po’rarefatta (cautela nei movimenti e negli sforzi se non siete abituati ad altitudini superiore ai 2.000 metri), ma naturale e balsamica.
Il versante lombardo presenta meno tornanti una vegetazione più rada anche sotto i 2.000 metri, ed è impossibile non fermarsi, a metà discesa, al chioschetto accanto alla fragorosa Cascata del Braulio che si tuffa nella vallata sottostante. Un’ambientazione da film fantasy. Lambita Bormio ed i suoi bagni, ci si dirige verso Livigno scavalcando il Passo del Foscagno, dove l’antica dogana comunica l’ingresso nella zona franca a regime fiscale agevolato. In verità di conveniente nel Piccolo Tibet è rimasta solo la benzina, che costa in media 40 centesimi in meno rispetto al resto d’Italia. I negozi duty free e quelli d’abbigliamento ormai hanno imparato a vendere allo stesso prezzo della grande distribuzione per massimizzare gli utili, e per il cliente finale non c’è più nessuna differenza. Ma Livigno non merita una visita solo per lo shopping: il paesaggio che si attraversa sul Passo dell’Eira, ultimo giogo prima di giungere nel centro abitato, è qualcosa di bucolico, con prati fioriti solcati da mandrie al pascolo che si perdono a vista d’occhio. Se non avete voglia di tuffarvi nella folla della lunghissima strada dello shopping, meglio dirigersi sulla sponda opposta del fiume Spol e passeggiare fin dove comincia il lago, spesso battuto da un forte e gelido vento di tramontana. A pochi passi dal sentiero ciclabile che conduce al Ponte delle Capre, la Latteria Livigno è il punto di riferimento per acquistare e degustare i formaggi locali, in particolare la Casera, il Livigno a latte crudo e il Latteria semistagionato. Ottimi anche lo yogurt ed il gelato, ma, se preferite consumare al tavolo, meglio evitare i week-end in quanto l’attesa e la ricerca di un parcheggio possono diventare snervanti.
Per tornare indietro verso la Val Venosta, c’è un’ottima alternativa per evitare di doversi riarrampicare sullo Stelvio. E’ sufficiente costeggiare il lago lungo tutta la sua sponda sinistra per arrivare al Valico di Ponte del Gallo. Qui, pagando una tariffa di 17 franchi svizzeri (15 online) è possibile percorrere la Galleria Munt la Schera, un tunnel lungo 3,4 chilometri e largo poco più di un cunicolo, a senso unico alternato regolato da semafori, che in pochi minuti vi condurrà in Svizzera, nel cantone Grigioni. All’uscita vi ritroverete in una foresta di conifere fitta e poco antropizzata, con pochissime tracce di insediamenti umani. Siamo in Val Mustair, riserva della biosfera Unesco, a tre quarti d’ora d’auto da Davos e Scuol, capolinea della Ferrovia Retica famosa per il trenino rosso del Bernina e dell’Albula. Girando a destra, dopo 30 chilometri di strada piuttosto agevole, giungerete alla dogana di Tubre, dove i finanzieri italiani controlleranno eventuali acquisti effettuati a Livigno. Da qui Glorenza, Malles, il Lago di Resia e gli altri paesini della Val Venosta sono ad un tiro di schioppo. Prima di rientrare a Merano vi consigliamo una sosta golosa al Caffè Greta a Lasa, gestito dalla campionessa mondiale di slittino su pista naturale Greta Pinggera. Imperdibile la Laaser Marmortorte, una sorta di torta della Foresta Nera con glassa al posto della panna che riproduce il blocco di marmo bianco di Lasa, vanto della zona. In una sola giornata avrete ricevuto un goloso assaggio della Terra Retica, che naturalmente non può non essere completato senza un giro in barca sul lago di Resia, una sosta a Bormio oppure un’escursione sul Trenino Rosso del Bernina. E non dimenticate ovviamente di assaggiare una mela locale appena colta dall’albero, rigorosamente con tutta la buccia!
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