Il Pulcinella fallico e le contraddizioni della mentalità bigotta italiana
È notizia ormai di dominio pubblico l’installazione, in Piazza Municipio a Napoli, di un’opera di arte contemporanea intitolata “Tu sì ‘na cosa grande“, realizzata del recentemente scomparso artista Gaetano Pesce (nomen omen!) e dedicata alla rivisitazione della figura di Pulcinella in chiave fallica. Questa installazione ha sollevato un acceso dibattito in tutta Italia, in particolare sui social media, dove le opinioni si dividono tra chi vede l’opera come una provocazione artistica e chi la considera offensiva. L’ironia fa parte del gioco e genera contenuti anche geniali, ma ciò che non tollero affatto è il bigottismo di chi si vergogna nell’osservarlo e di chi addirittura lo ritiene un simbolo di patriarcato. “Tu sì ‘na cosa grande” di Gaetano Pesce è un’opera che, a mio parere, va interpretata con una lente differente: quella dell’ironia e della provocazione artistica. Ma soprattutto come una riuscita mossa di marketing.
Nell’antica Roma, il fallo non era visto solo come un simbolo sessuale, bensì associato all’abbondanza, alla fertilità e al buon augurio. Anzi, sembra che anche il corno rosso napoletano portafortuna derivi proprio dal gioiello del dio Priapo. Inoltre, il filosofo Enzo Grano, nel suo saggio “Pulcinella e Sciosciammocca“, è stato il primo studioso ad assegnare valenze falliche alla figura di Pulcinella, in particolare al suo cappello. Secondo i suoi studi, il cappello oblungo di Pulcinella simboleggia la potenza e la fertilità, andando oltre la semplice rappresentazione comica del personaggio. Questa connessione storica sottolinea come la simbologia fallica abbia radici profonde nella cultura italiana, ben oltre le interpretazioni moderne del Pulcinella fallico di Gaetano Pesce.
A Castelmola di Taormina, un luogo non certo noto per il suo progressismo, troviamo, in posizione panoramicissima a picco sul Mar Jonio, il Bar Turrisi, interamente arredato a tematica fallica e famoso per il suo vino di mandorle, venduto in apposite bottiglie di vetro peniformi. Questa accettazione della simbologia fallica in un ambiente tradizionalmente conservatore come la Sicilia dimostra quanto il contesto culturale possa essere paradossale. Rovesciando la medaglia, non possiamo non ricordare come il nostro paese (eccetto che nelle spa dell’Alto Adige più germanofono) sia l’unico in Europa dove la sauna si fa in costume. Questa peculiarità, frutto di una visione conservatrice del corpo e della nudità, riflette un atteggiamento di fondo che pervade anche la percezione delle opere d’arte contemporanee. È evidente che la cultura bigotta italiana deriva da decenni di colonizzazione vaticana e dalla sua penetrazione nelle coscienze dei cittadini, in barba alla laicità dello stato. Questo influsso ha contribuito a plasmare una mentalità conservatrice che spesso si riflette nella vita di tutti giorni ed in reazioni medievali a contenuti provocatori. Fin quando poi non andiamo a scorrere le percentuali dei matrimoni andati a male o i fatturati di sexy shop o siti porno a pagamento.
Tornando al Pulcinella fallico rappresentato in “Tu sì ‘na cosa grande“, mi piacerebbe che la si considerasse più che altro una riuscita mossa di marketing territoriale. Se il primo comandamento per una campagna di marketing di successo è “basta che se ne parli“, l’opera riesce nel suo intento. La controversia generata attorno a quest’installazione non fa altro che alimentare la curiosità e l’interesse del pubblico, contribuendo così a incrementare la crescita del brand Napoli e di conseguenza l’afflusso turistico. In conclusione, l’arte, in tutte le sue forme, ha sempre avuto il potere di scuotere le coscienze e di provocare reazioni contrastanti. Il Pulcinella fallico e le contraddizioni della mentalità bigotta italiana non fanno eccezione, e il dibattito che ne è nato ne è la prova tangibile.